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11 settembre, foer, Guanda, letteratura americana, letteratura contemporanea, molto forte incredibilmente vicino, ogni cosa è illuminata
07 lunedì Mag 2012
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in16 lunedì Gen 2012
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1999, En l'absence des hommes, Guanda, narratori della fenice, philippe bresson, proust, un amico di marcel proust
Devo ammettere che ho dovuto pensare molto a “Un amico di Marcel Proust”, di Philippe Besson, prima di riuscire a farmene un’opinione chiara. Ho conosciuto Besson attraverso “E le altre sere verrai?” (di cui abbiamo già pubblicato la recensione https://corrispondenzerecensioni.wordpress.com/2011/11/20/e-le-altre-sere-verrai-philippe-besson/), che in definitiva mi è piaciuto per l’idea e per la schiettezza. E, da proustiana, come ormai ben sapete, sono stata molto attratta dal titolo di “Un amico di Marcel Proust”, aspettandomi grandi cose. Forse proprio quest’aspettativa mi ha un po’ guastato la lettura del libro, libro spezzettato in più parti, alcune molto interessanti, altre che mi hanno fatto letteralmente strabuzzare gli occhi.
Ma andiamo con ordine.
“Un amico di Marcel Proust”, del 2001, è il romanzo d’esordio molto acclamato di Philippe Besson, autore francese che, pur usando uno stile frammentario e secco estremamente lontano dalla poesia proustiana, dichiara di essere molto legato all’opera di Proust. Sceglie quindi di inserire l’illustre scrittore nel suo primo romanzo, quale personaggio che si muove alle spalle del protagonista. Questo è Vincent, un giovane sedicenne freddo e attraente d’alta borghesia parigina che, durante la prima guerra mondiale, scopre le emozioni e l’amore dividendosi tra il mondo scintillante dell’Hotel Ritz (in cui attira l’attenzione di un Marcel Proust quarantenne di cui guadagna l’amicizia) e il mondo feroce della guerra, in cui viene scaraventato da Arthur, soldato e figlio della governante dal passato oscuro, che nella sua settimana di libertà lontano dal fronte diviene il suo amante.
Il libro si articola come il “diario” di Vincent e una raccolta delle lettere tra i tre personaggi. Lo stile è il solito stile frammentato e veloce di Besson, pieno di perifrasi spesso molto poetiche, che ben si adatta all’apparenza algida e distaccata del protagonista, che nel romanzo compie una vera maturazione emotiva, scoprendo l’amore, il dolore, la sua umanità più intima.
È questa la parte più preziosa del romanzo: i due ragazzi cozzano contro la guerra e ne sono sconvolti, ma trovano comunque nelle loro esistenze le cose più belle e le vivono a pieno, come se fossero eterne, nonostante tutta la finitezza e la precarietà brutale derivare dal conflitto mondiale.
Sarebbe davvero un romanzo molto bello. Ma è stato tirato in ballo Marcel Proust e, onestamente, non capisco perché. Quest’audace idea è stata lodata dalla stampa francese, ma personalmente non capisco perché abbia scomodato un personaggio del genere e perché ne abbia forzato la biografia per infilarlo nella storia. I capitoli riguardanti l’amicizia del giovane col famoso scrittore sono pieni di riferimenti e ammiccamenti ad una latente omosessualità, in maniera così maniacale da risultare fastidiosa e persistente come una chiacchiera da cortile di vecchie zitelle. Non ho gradito in generale, la totale mancanza di eleganza nel trattare di un personaggio che di tatto, raffinatezza e eleganza aveva fatto la sua caratteristica più spiccata.
Un consiglio: leggere e godersi il romanzo, facendo finta che lo scrittore quarantenne che compare e viene chiamato Marcel Proust, non sia Marcel Proust. Buona lettura.
20 domenica Nov 2011
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e le altre sere verrai, edward hopper, Guanda, L'Arrière-saison, le fenici tascabili, nighthawks, philippe besson, phillies
Philippe Besson è un autore francese, classe ’67, che un giorno ha acquistato una riproduzione del famoso quadro di Edward Hopper, “The nighthawks”, e ci ha scritto su un romanzo, fantasticando sui personaggi dipinti e sulle loro probabili storie.
Immagina quindi che la donna in rosso sia una scrittrice teatrale di successo, l’uomo accanto a lei uno dei suoi amori passati, forse il più importante, che torna per caso nel bar frequentato da entrambi ai tempi del loro amore. Sotto lo sguardo quasi paterno del barista, che partecipa silenziosamente alle storie di tutti i suoi clienti, i due si scambiano ricordi e emozioni tentando di capire in quale punto, a partire dalla loro separazione, le loro vite si siano frantumate.
La narrazione è veloce e si compone in piccoli paragrafi che frammentano la storia, in quanto il punto di vista cambia di volta in volta, permettendo al lettore di entrare nei pensieri di tutti i personaggi. Questi pensieri si svelano in piccole frasi brevissime, dal ritmo serrato e cadenzato, che si concatenano divagando e toccando le emozioni più disparate. Si va oltre la descrizione di un’unica serata di tarda estate in un bar della East Cost, rivivendo assieme ai protagonisti il loro passato, senza staccarsi mai dal bancone.
È un viaggio nell’animo di un uomo e di una donna che in risposta al dolore ricercano il passato, e che si rendono conto che solo abbattendo il muro d’orgoglio che li separa possono tornare alla serenità e, forse, di nuovo ad amarsi.
Edward Hopper, “The Nighthawks”, 1942
26 mercoledì Ott 2011
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ambientalismo, Dario Fo, dio è nero, ecologia, Guanda, l'apocalisse rimandata ovvero benvenuta catastrofe, le fenici tascabili, milano, nobel, ritorniamo primitivi
Per “celebrare” l’uscita di “Dio è nero, Il fantastico racconto dell’evoluzione”, ultima fatica del Nobel Dario Fo, che parla di evoluzione, “involuzione” e ecologia, oggi voglio proporre la recensione di un’altra sua opera: “L’apocalisse rimandata, ovvero Benvenuta catastrofe!”.
Uscito nel 2008, è l’emblema dell’estremo interesse, quasi ossessivo, dell’autore per le tematiche ambientali e per la salvaguardia del nostro pianeta.
Nel suo tipico stile diretto e corporale, mutuato dalla lunga esperienza teatrale, Fo immagina il giorno in cui il mondo si sveglierà senza più elettricità, né petrolio, senza poter viaggiare o accendere un computer, con telefoni e soldi inutilizzabili. Sono crollati gli stati, le gerarchie, le abitudini. Ma dalla tragedia del paradosso, ecco il rovescio comico: in una Milano spettrale e abbandonata, i cittadini“ritornano primitivi”, aguzzano l’ingegno e inventano nuove fantastiche macchine per volare, spostarsi, riscaldarsi sfruttando il sole e il vento; tornano alla campagna, a produrre ciò di cui hanno bisogno. Gli uomini capiscono di non poter far altro che trarre beneficio dall’Apocalisse, in un susseguirsi di scene tragicomiche e folli, con dialoghi spiritosi e variopinti, teatralissimi eppure molto verosimili, in una di quelle atmosfere giullaresche tanto care all’autore.
L’edizione (Guanda, lodevole) è pregevole perché corredata di 65 disegni dell’autore, di sostegno alle fantasiose vicissitudini dei personaggi e che aumentano l’atmosfera di sogno. Ma se il sogno fosse premonitore? Se il crollo fosse veramente prossimo? Se – citando Fo- “l’apocalisse verrà davvero, se l’umanità non rinsavisce”? Beh, allora, rinsaviamo!