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Tutti mi dicevano “Non si può arrivare a 24 anni senza aver letto Il nome della Rosa”.

A queste accuse io rispondo che sì, ci si può arrivare ed anche in buona salute. Non è mia intenzione screditare un libro, che – anzi – non lo merita, sono solo del parere che a volte si tenda ad idolatrare troppo un romanzo/autore. Il nome della rosa è sì una lettura piacevole e ben strutturata, ma a mio avviso non è così imprescindibile come si vuol far credere.

La trama la conoscono tutti. Anno Domini 1327, una serie di omicidi scatena il panico in un monastero così, l’abate decide di affidare il caso a un dotto francescano (Guglielmo da Baskerville) ed al suo aiutante, Adso da Melk.  Le vicende si snodano scandite dai tempi monastici, in 7 giorni che segneranno la vita di Adso così profondamente da spingerlo a scrivere e raccontare tutto in una lunga lettera.

Il racconto è avvincente e il contesto storico è ben ricostruito. Magistrali alcuni passaggi in cui si fa luce sui metodi dell’Inquisizione o in cui si offre una panoramica delle eresie. Ho trovato un po’ ridondanti e fin troppo limati alcuni discorsi in cui mi è parso di leggere il desiderio di autocompiacimento di Eco;  assolo che poco servivano all’economia della storia.

Un romanzo che merita di esser letto,  che sicuramente arricchirà le vostre librerie e di cui potete  fare a meno per 24 anni. Però, ecco, al venticinquesimo anno di vita – qualora abbiate voglia di un buon libro – prendetelo tra le mani.